Gli annali della zecca 1861
giovedì 23 marzo 2023
Sono trascorsi oltre 140 lunghi anni dalla proclamazione del regno d'Italia, durante i quali la nostra moneta ha percorso, fra vicende talora burrascose, il suo lungo cammino pur riuscendo sempre ad assolvere la sua funzione di metro dei valori economici e, nello stesso tempo, di mezzo di scambio nell'ambito di quelle necessità congiunturali che hanno caratterizzato la nostra vita nazionale.

L'intendimento di questi Annali è comunque rivolto alle vicende monetarie dei primi quarant'anni di regno che, da Vittorio Emanuele Il ad Umberto I, arrivano agli albori del 1900.

La trattazione, quindi, segue e si ricollega al periodo del Risorgimento che ha visto, con la monetazione del Re Eletto, quei nostalgici fermenti patriottici che portarono all'unità d'Italia.

Sicché, in buona sostanza, gli Annali analizzano, anno dopo anno, dal 1861 al 1900, tutta la monetazione nel suo complesso, sia metallica che cartacea, in un binomio indissolubile di continuità.

Dopo il 17 marzo 1861, proclamato il regno d'Italia, quando si dovettero muovere i primi passi per organizzare lo Stato, si impose «in ante omnia res» la questione monetaria relativa all'unificazione della moneta decimale in tutto il territorio nazionale, nel quale circolavano diverse specie monetarie degliStati annessi, il cui valore si era potuto valutare ad un miliardo di lire piemontesi, oltre a mezzo miliardo di lire in banconote, la cui circolazione era fondata spiega il De Mattia — in linea di principio e di fatto, su un carattere privato, intercorrente fra emittente e portatore, che si concretava soprattutto nella possibilità di ottenere a vista il baratto in numerario dei biglietti.


Gli annali della zecca 1861

Si provvide, di conseguenza, ad emanare una serie di decretazioni per regolare il flusso della monetazione preunitaria, in attesa di provvedimenti consequenziali relativi alla coniazione delle monete per il regno d'Italia.

Dapprima furono utilizzati persino alcuni decreti dell 'ex Governo della Toscana per dare corso alle prime coniazioni da parte della Zecca di Firenze, poi si decretò sul sistema monetario da adottare, cioè se su base monometallica (che attribuiva all'oro monetato la funzione di misura dei valori economici e commerciali) ovvero su quella bimetallica (che conferiva alla moneta d’argento la funzione di moneta divisionaria dell'oro). Prevalse il Sistema del bimetallismo e si diede l'avvio alla produzione monetaria. E poiché nel 1861 esistevano 5 zecche, oltre quelle di affinazione e le estere, si provide a chiuderne due (Bologna e Firenze), mentre ben cinque istituti bancari di emittenza cartaceo-monetaria accentravano la maggior parte delle operazioni bancarie come se l'unificazione del paese non fosse mai avvenuta, perché frutto di un vivace regionalism che cercava di tutelare interessi reali o presunti.

Nel 1862 altre vicende monetarie si accavallarono quando ci si accorse che oro ed argento monetati non stavano più in quel rapporto legale che risaliva all'inizio del secolo scorso.

Come conseguenza – per dirla con il Cipolla- invece di adeguare tale rapporto a quello di mercato, si coniò la lira d'argento in un intrinseco leggermente inferiore alla parità per cui a decorrere dal 1 863, fu riformato tale intrinseco leggermente inferiore alla parità per cui, a decorrere dal 1863, fu riformato tale intrinseco da 900 a 835 millesimi. Fu quindi provveduto a modificare il conio delle monete dalla parte del rovescio per poter distinguere le monete della serie stemma (900/1000) da quelle della serie valore (835/1000).Ma quando, per motivi d'ordine tecnico si dovettero rinviare le coniazioni1863, furono effettuate coniazioni nelle due tipologie.

Nel 1866, quando si decise di intraprendere la 3a guerra d'indipendenza per la liberazione del Veneto, la questione si spostò in campo monetario per finanziare le spese belliche con una moneta che, prescindendo dalla materia che la componeva, potesse assolvere I suoi compiti.

Si pervenne, quindi, alla Legge 2872 del 1 maggio 1866 che autorizzò il governo ad adottare i consequenziali provvedimenti finanziari. Seguì quindi, il R. D. n. 2873 di pari data, che gli economisti definirono «del Corso forzoso della cartamoneta», per il quale la Banca Nazionale negli Stati Sardi: (ribattezzata «nel Regno d'Italia») fu autorizzata ad emettere 250 milioni lire in banconote inconvertibili in moneta metallica, che assunsero il ruolo di specifica «cartamoneta», per finanziare lo Stato.

Per certo il corso forzoso ridusse drasticamente la circolazione delle monete metalliche a tutto vantaggio della moneta-carta, anche se il Tesoro continuò a far coniare monete d'oro rappresentative in tiratura molto limitata dal 1868 in poi. che pur furono regolarmente tesaurizzate per consolidare forme di risparmio al riparo dall'inflazione.

Si calcola che dal 1861 al 1868 erano state coniate monete d'oro per L. 205.584.000. Mentre si continuavano a coniare monete d' argento di L. 5 con il titolo 900 millesimi per conto dei privati, che pagavano l'aggio alle zecche (facendo circolare tali scudi a L. 5,05), la penuria di monete metalliche provocò, di conseguenza, un'altra circolazione monetaria sostituiva, i cosiddetti«biglietti fiduciari» cartacei, variamente colorati, che andavano dal taglio di cent.5 alle lire 10, emessi da banche popolari, società, consorzi, municipi e ditte private dell'Italiacentro-settentrionale (ad eccezione dei municipi di Trapani e Palermo (per importi irrilevanti).

Va evidenziato che i fiduciari risolsero non poco la carenza del piccolo circolante con il tacito consenso delle autorità che pur erano a conoscenza sia della forte espansione del Sistema, sia dell 'inesistenza di qualsiasi decreto autorizzativo.


Consolidato il regno della cartamoneta, l'evoluzione del sistema bancario sostenuto dalla borghesia capitalista provocò un abnorme incremento di banconote. generando un'enorme euforia nel mondo degli affari soprattutto quando dopo Roma capitale, si diede luogo a speculazioni edilizie.

Per ovviare a tale espansione bancaria intervenne la Legge n. 1920 del 30 aprile 1874 che istituì un Consorzio interbancario per la produzione di biglietti consorziali a corso forzoso, garantito dai capitali dei sei istituti d'emittenza (si era unita la Banca Romana per trasformazione della Banca Pontificia);ma poiché, coi biglietti consorziali, erano state autorizzate emittenze extraconsorziali da parte dei sei istituti bancari, si era venuta a creare una duplice circolazione cartamonetaria: l'una per conto dello Stato che si faceva carico dell ' assunzione del servizio dei biglietti consorziali, l'altra per conto delle banche, a corso legale e tramutabile in consorziali di Stato... a corso forzoso!

Fu giocoforza, nel 1881, abolire tale circolazione e gettare le basi per il ripristino del corso legale della cartamoneta. che avverrà nel 1883: ma già siamo sotto il regno di Umberto I.

Intanto, nel 1875, il governo aveva preso un provvedimento relativo alle monete d'argento di L. 5 che si coniavano con l'intrinseco di 900/ 100 per conto dei privati, conforme altri «scudi» dei paesi aderenti alla Lega Monetaria Latina: dal 1876 tale produzione passò sotto la gestione del ministero dell' Agricoltura (al tempo preposto ai servizi di vigilanza su società ed istituti bancari), finché, nel 1878, dopo lo sdoppiamento del ministero delle Finanze (25 dicembre 1877) in quello del Tesoro, il servizio di Tesoreria fu trasferito a quest'ultimo dicastero (e soppresso quello dell’ Agricoltura, successivamente ricostituito con altri compiti istituzionali).

Con la morte di Vittorio Emanuele II si conclude questa prima parte degli Annali.


GLI ANNALI

1861

Il 18 febbraio 1861 si riunì il primo Parlamento del Regno d’Italia che – annotò il Massari - «ebbe subito ad occuparsi ent ‘esame della proposta di legge che proclamava il regno d’ Italia, e di entative ne era il corollario naturale, l’intestazione cioè degli atti ufficiali e la legenda da scolpire sulle monete. Il Re dichiarò quindi volere assolutamente essere detto Vittorio Emanuele Secondo e non Primo, dacché parevagli, qualora avesse assunto questo secondo titolo, commettere ingratitudine verso I gloriosi suoi avi, I quali certamente avevano col senno e con la spada apparecchiata a lui di lunga mano la corona che oggi gli cingeva il capo». In effetti il Re volle conservare enta titolo di Secondo, già assunto quand’era Re di Sardegna, anche come si evince dalla monetazione sarda: Victorius Emanuel Il.

Il 22 marzo si formò il primo governo. Con Cavour alla Presidenza, Vegezzi alle Finanze (al tempo non esisteva il dicastero del Tesoro), Natoli all’ Agricoltura (sotto il cui dicastero dipendevano le banche). Per commemorare l’evento della costituzione del regno fu affidato alla Zecca di Firenze l’incarico di coniare n. 21.472 monete d’argento in esecuzione del decreto 223 del Governo di Toscana del 29 novembre 1859sulle emissioni del Re Eletto, con le opportune modifiche e datazione Firenze 1861: questa è la prima moneta del regno d’Italia.

In campo monetario il primo problema importante e non indifferibile fu quello di stabilire il entati da adottare, alla stregua degli altri Stati europei, cioè se basarsi sul monometallismo (l’oro aveva funzione di misura dei valori commerciali) ovvero se proiettarsi sul bimetallismo, consistente nella coniazione di monete d’oro e d’ argento, il cui valore nominale corrispondeva al valore intrinseco del metallo nobile in esse contenuto. Si decise per il bimetallismo, già in uso nel regno di Sardegna e nel Ducato di Parma (oro gr. 0,322 – argento gr. 5 ,00), determinando l’intrinseco di 900 millesimi, titolo adottato per I due tipi di monete nel entati legale di 1: 15,5 stante che la lira d’argento aveva una parità metallica fissata in gr. 4,5 (un grammo equivaleva al titolo 3,3 di oro coniato). In quanto alla monetazione spicciola fu esaminato favorevolmente un entati del 5 gennaio da parte del chimico Taddei, della Zecca di Firenze, che aveva fornito I risultati di ossidazione delle leghe rame-nichel e rame-stagno. Sicché la Zecca di Milano effettuò

le prove tecniche delle due leghe e propose l’adozione del secondo tipo, costituito da 960 di rame e 40 di stagno.

Per fornire il Tesoro di adeguata monetazione e nelle more che si decretasse in merito alle nuove impronte di monete, si completarono I entative di monete già autorizzati dal cessato Governo della Toscana, sicché furono coniate nella Zecca di Firenze le prime monete del regno, datate 1861, nei tagli di L. 1 e Cent. 50 (sigla F e monte), rispettivamente di n. 431.534 e n. 1.222.099 esemplari, dopo di che la Zecca fu chiusa, su disposizione ministeriale, il 31 maggio. Pur tuttavia il personale dellaZecca rimase in carica poiché già si prospettava la possibilità di trasferire la capitale del regno in quella città, ove la zecca avrebbe potuto essere riabilitata per eventuali coniazioni.

I primi provvedimenti entative in materia monetaria furono I regi decreti n. 16 e 17 del 2 maggio, che stabilirono rispettivamente, le impronte delle nuove monete d’oro e d’argento, nonché di quelle di bronzo per l’incisione di Giuseppe Ferraris, già capo incisore di quella zecca nelle monete sardo-piemontesi. Moduli e pesi richiamavano la Legge n. 1773 del 20 novembre 1859 del regno di Sardegna.

L‘improvvisa morte di Cavour (6 giugno) creò crisi governativa, ma subito gli successe Bettino Ricasoli, già capo del governo della Toscana, con Bastogi alle Finanze e Cordova all’ Agricoltura.

Per la sostituzione delle monete erose d’Emilia, Marche, Umbria e Lombardia, con Legge n. 73 del 30 giugno fu sancito il cambio delle stesse con quelle nazionali, da effettuarsi entro il 30 giugno; ma poiché le monete italiane circolanti erano, in enta momento, solo quelle emesse dalla Zecca di Firenze, furinviato il ritiro delle erose preunitarie alla data del 31 dicembre 1961, in forza del R.D. n. 391 del 12 dicembre.

Finalmente il 17 luglio, con il R.D. n. 114 fu stabilito il enta legale, a decorrere dal 1 agosto, delle nuove monete dibronzo di cent. 5, 2 ed 1’ ed il ritiro diquelle austriache già circolanti in Lombardia, mentre con il R.D. n. 123 di pari data fu disposto il ragguaglio delle varie specie di monete preunitarie: la lira entati = L. 0,84; il fiorino entative in Lombardia = L. 2,47; il ducato napoletano L. 4,24; il ducato siciliano = L. 2,12; lo scudo di Romagna = L. 5,375;


Nel modenese si continuò a fare riferimento alla vecchia lira = L. 0,3838.

Conseguentemente, furono attivate le tre zecche esistenti:

— MILANO, che emise ben n. 210 milioni di monete di cent. 5, n. 37.500.000 di cent. 2 e n. 26.720.000 di cent. I (di quest’ultimo taglio esistono rari esemplari con il segno di zecca M rovesciato);

— NAPOLI ,che emise n. 103.706.743 monete di cent. 5, n. 23.055.000 di cent. 2 e n. 48.280.000 di cent. L. Ma l’inserimento nel napoletano della moneta nazionale su base decimale aveva destato preoccupazioni per il rifiuto da parte di alcuni strati della popolazione che non riusciva a ragguagliare la valuta borbonica con quella decimale (già nel 1813 analogo rifiuto si era verificato quando re Gioacchino Murat aveva fatto coniare monete col entati decimale napoleonico). Fu quindi giocoforza, per il governo, intervenire con il ripristino provvisorio della monetazione borbonica, tanto da far sostituire, per il servizio postale, una serie di francobolli stampati a Napoli in valuta italiana con un ‘altra serie stampata a Torino con valuta borbonica, emessa fra il 14 ed il 15 ottobre 1861 e circolata sino a tutto il 1862 dopo l’introduzione di monete di cent. 1 con la scritta «esperimento»;

— BOLOGNA, che emise n. 3.808.922 monete di cent. 5, con la sigla «B»; esistono, pur tuttavia, rari esemplari senza nome dell’incisore Ferraris. Anche se la Zecca fu chiusa il 31 dicembre1861 (R. D. n. 39 del 23 maggio 1861),di fatto continuò a coniare. Ciò emerge dai dati ufficiali che non riportano nel 1861 coniazioni di bronzo, ma indicano nel 1862 coniazioni di monete di bronzo per L. 28.190.000 (arrotondate), ammontare che corrisponde esattamente a quelle datate 1861 (per L. 17.836.881) in aggiunta alla produzione datata 1862 (per L. 10.353.558).

Sulla circolazione delle monete d ‘oro di L. 20 e 10 già emesse per il regno di Sardegna, il R. D. n. 287 del 20 ottobre autorizzò la Banca Nazionale negli Stati Sardi ad impiegare, nel cambio dei propri biglietti, tali monete tenuto conto che I ‘Istituto aveva aperto nuove sedi e succursali in molte città italiane, estendendo nel territorio nazionale, soprattutto nell ‘ area del nord Italia, la circolazione di monete del regno sardo.

In pari data il regio decreto n. 288 stabilì che la fabbricazione di nuove monete d’oro e d’argento doveva avvenire su appalto a seguito di pubblici incanti, il cui capitolato fu approvato dal D. M. 21 ottobre 1861, sicché, con Convenzione del 21 dicembre dello stesso anno, la Banca Nazionale negli StatiSardi ottenne l’esercizio temporaneo di tutte le zecche per il entat 1 gennaio 1862 – 31 dicembre 1873, tacitamente esteso sino al 31 dicembre 1875; la Zecca di Torino venne assegnata alla stessa Banca Nazionale, quella di Napoli alla Soc. Estivant di Parigi, quella di Milano alla Soc. Talanger & C. di Parigi. Sulle amministrazioni delle zecche fu istituita una Commissione presso il entativ dell’Agricoltura (R. D. n. 326 del 9 novembre 1861), il cui regolamento fu approvato con successive R. D. n. 327 di pari data. Il decreto 326 dispose inoltre che la fabbricazione di monete d’oro e d’argento(art. 4) doveva avvenire nelle zecche di Milano, Torino e Napoli, mentre l’appaltatore (art. 9) doveva fare delle paste d’oro e d0argento nelle città di Bologna, Genova. Livorno e Palermo, sotto diretta sorveglianza di un ufficiale governativo (oneri di coniazione: L.7,44 per chilo d’oro e l'72.00 per chilo d’argento); l’art. 6 disponeva: “I tipi, le matrici, I punzoni, non che i conii e cuscinetti delle monete saranno forniti dagli Incisori del Gabinetto d’incisione addetto alla zecca di Torino”.

“In caso però di fabbricazione straordinaria o di zecca lontana dalla sede del Governo, il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio è autorizzato a permettere la formazione de’ conii e cuscinetti presso qualunque zecca con le facoltà e cautele che saranno stabilite per regolamento».

In quanto al Regolamento di coniazione, in particolare, per l’art. 87 «La bellezza e la perfezione delle impronte è affidata alla speciale sorveglianza del Direttore della zecca e del verificatore della monetazione»; per l’art. 87 «I conii devono avere un segno caratteristico o la lettera iniziale della zecca alla quale sono stati destinati e possono averne anche uno dell ‘appaltatore. Oltre tali segni ne hanno un altro segreto che è determinato dal Ministero ed indicato in un verbale da conservarsi sotto sugello presso la Zecca di Torino»; per l’art. 88 «l conii devono avere un numero d’ordine proprio di fabbricazione per ciascun anno e per ciascuna specie di monete , tanto pel diritto, quanto pel rovescio». In quanto alle monete false I ‘art. 32 prescriveva che «se si presentano all’Ufficio del Cambio monete false (il Verificatore) deve difformarle al presentatore, qualora questi non preferisca di consegnarle nel loro valore di materia».

Per quanto concerne la fabbricazione delle monete di L. 5 (scudi d’argento) il R.D. n. 370 del 12 dicembre 1861 stabilì che le emissioni dovevano effettuarsi per conto dei entati. Riguardo all’emissione della moneta d’oro di L. 20 il Simonetti cita una segnalazione del Galeotti per il quale sarebbe stata autorizzata una coniazione privatistica nel settembre 1 861 da effettuarsi nella Zecca di Firenze per una concessione al Conte Kervèguen: si trattava di un contingente per un ammontare di circa sette milioni di lire coi punzoni forniti

dalla stessa Zecca. L’esecuzione, dapprima rinviata per la mancata fornitura di oro da parte della Gran Bretagna, subì un ulteriore rinvio malgrado disposizione ministeriale di far fondere uno stock di monete d’oro pontificie onde consentire la coniazione di un primo quantitativo di diecimila monete. Il progetto rimase, alla fine, inattuato.

Per la coniazione di monete d’oro e d’argento di cui al citato R. D. n. 16, si dovette attendere il relativo provvedimento che determinasse le impronte. Che furono stabilite dal R. D. n. 368 dell’8 dicembre 1861 .

Conseguentemente, solo a fine d’annata, la Zecca di Torino poté limitarsi a coniare i seguenti quantitativi di monete:

  • L. 20 (oro) per n. 3.267 esemplari.
  • L. 10 (oro) per n. 1.916 esemplari.
  • L. 5 (argento) per n. 160.410 esemplari.
  • L. 2 (argento) per n. 9.871 esemplari.
  • L. I (argento) per n. 19.399 esemplari.
  • Cent. 50 (argento) per n. 4.910 esemplari.

La serie ha il segno di zecca T e la sigla B in scudetto (cioè Battilana, direttore della Zecca) in carattere elzeviro classico, sigle che saranno modificate nei successivi anni. La moneta di L. 10 fu ritirata dalla circolazione nel 1865 per il suo diametro di millimetri 18 non ritenuto conforme ai decreti n. 788 e 871 del 1862 e dall’art. 2 Convenzione Monetaria Latina del 1865 (dal punto di vista numismatico trattasi di moneta alquanto rara). Per quanto concerne. Invece , il marengo, esistono esemplari con la T che sembrerebbe ribattuta su una F: ma è probabile trattarsi di un difetto di punzonatura che ha portato un minuscolo gambetto orizzontale a destra della T.

In quanto ad un’ipotetica coniazione di monete di cent. 50 d’argento da parte della Zecca di Milano, anche se riportata da qualche autore (nel C.N .l. al n. 10 la moneta è effettivamente indicate, ma non risulta nella collezione dell ‘ Autore) non risulta mai coniata nel 1861; potrebbe trattarsi di contraffazione della data 1863 o 1866 in quanto la moneta riporta la sigla BN in rettangolo che figura nelle monete della Zecca di Milano solo dal 1863.

Sulla prosecuzione del ente legale dei «maurizi piemontesi», il R. D. n. 391 del 22 dicembre 1861 ne sancì il rinvio, mentre il R. D. n. 407 del 29 dicembre successivo approvò il Regolamento dei saggi In materia monetaria.

L‘apporto nella circolazione monetaria di banconote non fu molto rilevante perché continuarono a circolare quelle emesse dalla Banca Nazionale negli Stati Sardi; in campo regionale la Banca Nazionale Toscana emetteva biglietti a corso fiduciario; la Banca Toscana di Credito per le Industrie ed il Commercio d’Italia, istituita il 12 marzo 1860, inizierà la sua attività di emittenza dopo il 1865; il Banco di Napoli e quello di Sicilia emettevano fedi di credito, polizze e polizzini. Cioè la cosiddetta carta apossidaria (dal latino: apoxa, ricevuta) che circolava su girata essendo nominativa in forza di una legge del 18 agosto 1861, che aveva conferito alle due banche l’obbligo della circolazione di detta carta come denaro contante.

La circolazione della cartamoneta toscana e dei banchi siciliani era generalmente diffusa solo negli ambiti territoriali essendo fortemente penalizzata al momento del cambio coi biglietti della Banca Nazionale negli Stati Sardi in ragione del 250% (portato al7,81% nel 1866 ed al 14,30 nel 1873).

A fine d’annata il circolante cartaceo fu valutato in appena L. 88.864.000, mentre la metallica ascendeva a L. 956.052.000, comprensiva di quella preunitaria.Per quanto concerne la Zecca di Palermo, inattiva dopo lo sbarco di Garibaldi, la Legge n. 128 del 28 luglio 1861 prorogò sine die le disposizioni del decreto prodittatoriale n. 159 del 17 agosto 1860, firmato da Depretis, che prevedeva il ripristino della Zecca per coniare monete con la legenda VITTORIO EMANUELE RE D’ITALIA.

Una considerazione sull’economia dello Stato, alla fine del primo anno di regno, è pur doverosa farla. Il 1861 si concluse con un deficit di bilancio di505 milioni di lire, cifra apparentemente elevata se si considera che, all’atto della costituzione del regno, ammontava a 268 milioni, cui si devono aggiungere i ben 2.444 milioni derivanti dal debito pubblico ereditato dagli ex stati annessi: ciò dimostra che il regno era nato fra problemi anche economico-finaziari, ereditati dale 59 province che costituivano e che vantavano tradizioni locali e culture diverse.

È anche stato accertato che non fu dilapidato il denaro pubblico, anche se non fu verificata la contabilità delle spese sostenute da Garibaldi durante la dittatura in Sicilia. Invero tale contabilità era finite sotto inchiesta e non fu mai esaminata così come non fu restituito alle casse dello Stato il denaro residuato perché ogni cosa si perdette durante l’affondamento del battello Ercules, avvenuto nelle acque del Tirreno, nelle vicinanze di Ustica, nella notte del 3 gennaio 1861 nel quale pure perì lo stesso Intendente di Finanza di Garibaldi, Ippolito

Nievo, che si era imbarcato a Palermo, diretto a Napoli per la consegna alle case dello Stato di quanto sopra esposto. Seguiamo quanto scrisse Stanislao Nievo, nipote di Ippolito, nel libro: «Il prato in fondo al mare» (premio Campiello 1975), nel entative di fare piena luce su tale avvenimento che aveva scosso l’opinione pubblica: «L’amministrazione dei Mille era stata difficoltosa. Pulita, per quanto disordinate era sotto inchiesta, con calunnie d’ogni genere, volte a screditare la più libera e fortunate avventura del Risorgimento.

Sotto inchiesta si intuiva una manovra politica della destra conservatrice. Le carte imbarcate sull’Ercules dovevano essere una prova contro queste manovre». Dunque, si sospettò di strage per liquidare la sinistra garibaldina, ma del denaro affidato a Garibaldi per l’avventura di Sicilia, non fu possibile trovarne il conto. Scriverà Ernesto Pazzaglia (Giornale di Sicilia del 9 settembre1893): «Avevano preso il volo per il Piemonte 443 milioni di lire in oro, tra cui 5 milioni di ducati che il dittatore Garibaldi ha requisite al Banco di Palermo e che faranno la stessa fine dell’oro di Dongo». Ma perché Cavour volle che Garibaldi desse conto della contabilità relativa ai finanziamenti a suo tempo ricevuti dal governo piemontese? In effetti, contrariamente alle volontà del Cavour e del Re, Garibaldi aveva passato lo stretto diMessina ed occupato Napoli in nome di Vittorio Emanuele Re d’Italia. A Napoli. Proclamatosi dittatore, si era insediato solo per appena 62 giorni, dal 7 settembre all’8 novembre 1860; poi dovette lasciare Napoli e da lì l’addio alla popolazione ed alle sue camicie rosse con il seguente messaggio: «La Provvidenza fece dono all’ Italia di Vittorio Emanuele. Ogn’italiano deve rannodarsi a Lui, serrarsi intorno a Lui. Accanto al Re Galantuomo ogni gara deve sparire, ogni rancore dissiparsi!». Napoli già faceva parte del regno d’Italia dopo il plebiscito del 21 ottobre 1860 e da Napoli era stato avviato un fondo di «Soccorso a Garibaldi per la redenzione di Roma e Venezia»: era proprio una raccolta di denaro mediante cartelle espresso in valuta borbonica (ancora circolante nel napoletano), costituita da ricevute di «Carlini Sei», pari a L. 2,50.

Comunque, prima dell’alba del 9 novembre 1860. Garibaldi dovette lasciare Napoli alla volta di Caprera con il vapore Washington della flotta entative. Mentre il vapore usciva dal porto, le navi della squadra inglese spararono all’unisono una salva di saluto; non così fecero le navi italiane!

Era evidente che si volle togliere a Garibaldi qualsiasi possibilità di racimolare denaro per evitare di puntare su Roma e liberare il Veneto, provocandouna serie complicazioni diplomatiche e politiche con I’alleato francese. Allora Garibaldi si ricordò dei suoi amici inglesi piuttosto altolocati: cioè del primo ministro britannico Palmerston, del segretario agli esteri Lord Russel e del Cancelliere dello Scacchiere Gladstone, che già lo avevano sostenuto finanziariamente per la spedizione in Sicilia: «E se c’è qualche verità – precisa Ridley – nell’affermazione del duca Ernesto (D’ Asburgo), cioè che il mistero del successo di Garibaldi in Sicilia è avvolto nella carta delle banconote inglesi, I documenti di stato e la corrispondenza entati degli statisti britannici mostrano chiaramente che le banconote vennero consegnate senza che né Palmerston, né Russel lo sapessero... Tutti sapevano che l’allusione al dono era un trucco, e che in realtà la sottoscrizione sarebbe servita a finanziare la spedizione garibaldina contro il regno di Napoli, contro uno Stato cioè, con il quale l’Inghilterra era in pace». Invero gli inglesi lo sostennero ancora una volta apertamente istituendo un

«Fondo in soccorso di Garibaldi». Quanto denaro fruttò la sottoscrizione del fondo? Indubbiamente tanto. Seguiamo, dal testo del biografo Ridley, tali vicende: «Il governo, comunque, continuò a permettere che in Inghilterra si raccogliesse denaro per Garibaldi, impedendo nello stesso tempo ai cattolici irlandesi di mandare denaro al papa e ai volontari irlandesi che si erano arruolati nell’esercito pontificio».

Le offerte per il Fondo in soccorso diGaribaldi piovvero. Il secondo duca di Wellington – figlio del grande duca – mandò50 sterline, inteso però che l’offerta risultasse anonima; Florence Nightingale mandò 10 sterline, e Dickens 5. Ne furono raccolte 300, in una sola ent, all’Athenaeum Club, Gladstone , cancelliere dello Scacchiere, giunse ad accennare a Panizzi che il governo avrebbe potuto dare un contributo segreto, traendolo dai fondi pubblici, ma ritirò l’offerta, temendo l’opposizione di Palmerston. Nel nord, dove Cowen organizzò una colletta, il responso fu particolarmente entusiastico; a Berwick fu deludente in principio: ma anche qui, alla fine, il denaro venne.A Darlington, I manifesti annunciavano «il grande evento dell’anno, laSoirée per il Fondo Garibaldi», costo del biglietto uno scellino «con I profitti ricavati devoluti al Fondo Garibaldi che sta raccogliendo in Inghilterra, col proposito d’assisterlo nel suo eroico tentativo di liberare l’Italia dal giogo della tirannide». A Newcastle, la Compagnia di navigazione Red Star Line, di cui era socio l’esule polacco Lekawski, mise a disposizione del Fondo, per una intera giornata, la sua nave passeggeri Garibaldi: l’incasso sarebbe stato destinato al fondo stesso. A Glasgow, John MacAdam, segretario degli «Amici glasgowiani d’Italia», organizzò uno speciale «Fondo operaio per Garibaldi», e tenne una riunione alla Bell’s Coffee House «per considerare come meglio si possano aiutare gli amici borghesi della Causa, che già hanno inviato offerte all’Italia, e ne preparano un’altra più grande, cui ogni vero patriota dovrebbe senza ritardo contribuire».Per molti inglesi, Garibaldi contava più ancora della causa italiana. Un suo ammiratore scrisse a Cowen: «Garibaldi, ricordate, è l’uomo d’azione del momento presente e merita tutto I’aiuto che possiamo raccogliere. Garibaldi, deluso nelle sue speranze di liberare Roma e Venezia nel marzo del 1861 , subito dopo la proclamazione del regno d ‘Italia, era però risoluto a non lasciare passare un’altra primavera ed un’altra estate senza agire. Non si perdette d’animo e, per autofinanziarsi, dall’esilio di Caprera, nell’agosto del 1861 , fece stampare dalla Litografia Armanino di Genova delle Sottoscrizioni (incisore M. Jules), raccolte in 50 fogli di azioni di centesimi 25 di lira, che dovevano portare denaro alla «Associazione dei Comitati di Provvedimento — Preside Garibaldi» quale «Fondo sacro al riscatto di Roma e Venezia». Sul frontespizio della sottoscrizione, al punto I si legge: «Il fondo sacro è intangibile, a disposizione esclusiva del Generale Garibaldi che può disporne unicamente per il riscatto delle due città sorelle».

Ma dovrà fermarsi. Nel 1866 sarà fra I primi a dare il suo apporto militare per la liberazione del Veneto.


Conclusioni


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