Cari lettori di Numismatica Ranieri, in questo articolo del nostro blog numismatico cercehremo di scoprire maggiori dettagli relativi al tema dell'inflazione, concetto che periodicamente torna di moda all'interno del dibattito economico-finanziario mondiale. Nel post affronteremo il tema dell'inflazione nella storia, cercando di mettere in risalto che c'è inflazione e inflazione, a seconda di diverse variabili tra cui il periodo storico, lo sviluppo economico di un paese etc etc. Per saperne di più non vi rimane che proseguire la lettura e scoprire maggiori informazioni.
C’è Inflazione e inflazione
Può apparire fuori di luogo parlare d'inflazione oggi, quando se ne legge e se ne ascolta a iosa, quando ogni persona volenterosa ne ha acquisito conoscenze ed esperienze sufficienti a non giudicarla un sacro mistero riservato agli iniziati alle scienze economiche; tuttavia proprio l'affollarsi di parole intorno a quel fenomeno e la confidenza che ne è nata presso la gente comune possono giustificare il trattenersi a conversare di esso; maggior ragione è fornita dal fatto che qui se ne parla fra cultori della cartamoneta. Cioè fra persone che, senza pretesa di dottrina praticano per diletto lo studio delle avventure monetarie sbirciandovi dentro attraverso gli spiragli dell'evidenza e avvalendosi dell’amichevole guida dei loro compagni di vita, i biglietti monetati appunto.
In tale veste non possono ignorare o snobbare l'inflazione. perché cartamoneta e inflazione sono due voci dello stesso tema nel rapporto di derivazione dato dall'ordine stesso in cui sono qui citate, si compenetrano al punto di rendersi inseparabili Per riassumere il meccanismo dell'inflazione tenendoci in superficie, cioè senza entrare nel difficile, basterà ricordare la funzione della moneta quale misura del valore dei beni reali. Quella misura si mantiene vera e stabile finché resta un equilibrio corretto fra il valore dei beni e la quantità di moneta che intende rappresentarli. Se il valore dei beni aumenta, come normalmente avviene per il costante incremento e miglioramento della produzione e lo sviluppo dei servizi che l'accompagnano, è giusto che aumenti la quantità di moneta in circolazione; ma quell'equilibrio può perdersi, tanto cominciando dall'ambito commerciale dove aumenti di prezzo più o meno giustificati in qualche comparto possono facilmente trascinarne tanti altri al rialzo e generalizzare. Quanto per iniziativa dello Stato che per fare fronte a proprie necessità finanziarie può abbandonarsi ad eccessiva emissione cartacea. Appare calzante la definizione più elementare per cui:
l'inflazione consiste in una sovrabbondanza di cartamoneta rispetto alla massa dei beni e servizi ai quali si contrapponga in termini di scambio.
S’intende una sovrabbondanza accentuata che non può essere assorbita attraverso ulteriore produzione di beni, permanendo dunque uno squilibrio fra le due poste a confronto. Esiste una tendenza spontanea verso tale squilibrio che segue ritmi differenti a seconda delle circostanze economiche e anche dell’efficacia degli interventi da parte degli organi di sorveglianza.
Un ritmo inflativo moderato, mantenuto sotto controllo viene per lo più stimato benefico perché creando attesa di guadagni costituisce stimolo ad iniziative imprenditoriali, agevola l’occupazione, favorisce I consume, accende e mantiene aspirazioni al benessere, un ritmo troppo veloce sconvolge la tranquillità dei mercati mentre solletica in alcuni ambienti pericolose bramosie di speculazione richiama a prudenza o addirittura impaurisce gli operatori accorti trattenendoli da programmi impegnativi di lungo termine. Tutto ciò fa parte della vità di ogni paese, dunque anche del nostro, e dispone di ampia esemplificazione, non sempre di pronta lettura ed interpretazione per l’intreccio con altri fenomeni politici e sociali non nazionali.
Ma, per restare fedeli al ruolo di curiosanti nelle vicende monetarie, limitiamoci a seguire i fatti; non sarà difficile riconoscere negli anni più recenti quelli che hanno preceduto e accompagnato l’ingresso dell’Italia nel circuito dell’euro, la costruzione di argini severi al decorso inflazionistico e quindi il sopravvenire di una sua fase benigna tenuta sotto controllo dalle autorità governative, mentre rintracciare un esempio di comportamento nettamente più crudo e spinto piuttosto che retrocedere alle esperienze di dieci o vent’anni fa, conviene risalire a tempi già lontani, seppure ancora a portata di memoria, per molti, agli anni ultimi della seconda Guerra mondiale e immediatamente successive dei quali si può dar conto, da un punto di vista eminentemente pratico, riferendo dello slittamento nel quale incorse la moneta in quei tempi.
E’ chiaro che lo stato di Guerra costituisce per ogni paese che vi rimanga coinvolto un avvenimento talmente innovative da portare scompiglio negli schemi economici seguiti in tempo di pace sia dall’apparato statale sia dal private. Citiamo appena la sterzata impressa violentemente all’industria per intensificare la produzione bellica, l’assunzione generalizzata di iniziative inconsuete e dispendiose a scoi difensivi, nel senso più esteso, lo spostamento creato nel mondo lavorativo dalla sottrazione di personale da impiegare nelle attività militari e il conseguente effetto nell'economia delle famiglie, l'accrescimento subitaneo e sfrenato dalla spesa pubblica e, nel privato, la ricerca di liquidità mediante tesaurizzazione dei mezzi monetari, nonché la trasformazione di investimenti alla rincorsa di rifugi ipoteticamente affidabili: sono esempi fra i più banali del rimestio sociale, quindi economico, prodotto dalla guerra e dominato dal fenomeno inflativo che vuol dire aumento dei prezzi , esigenza di maggior quantità di moneta. Bisogna aggiungere che quel fenomeno subisce influenze aggravanti dal clima psicologico di generica paura che affligge una popolazione in periodo di guerra, che determina comportamenti confusi, anche contraddittori. capaci di alterare canoni economici, che per di più si autoalimenta attraverso pessimistiche previsioni quanto più quel periodo dura. Per la nostra superficiale osservazione sarà sufficiente andare a trovare riscontro di tale disordine in alcuni dati comunemente usati per misurare I' andamento dell’ economia.
Indici ufficiali italiani costruiti sulla parità 1913=1 e riferiti agli anni compresi fra il 1943 e il 1947 esprimono l'incremento delle seguenti voci attraverso i rispettivi moltiplicatori:
- prezzo dell'oro x 15,5;
- prezzi all'ingrosso x 22.5;
- costo della vita x 16,7.
Il potere d'acquisto della lira era diminuito poco meno di venti volte. In questi indici è difficile trovare collocazione per le retribuzioni di lavoro dipendente, rimaste arretrate sul piano contrattuale ma affiancate via via da compensi accessori improvvisati sotto il titolo di indennità dalle svariate denominazioni.
Dagli stessi indici rimane lontano un altro dato, il volume della circolazione monetaria (x 3,3) che aveva accusato invece maggior incremento (x 5.1) nei primi anni di guerra, 1941-43. Si tratta comunque di indicatori riassuntivi nei quali si fondono diversità di condotta nascenti dalla duplice posizione assunta dall' Italia nel corso della guerra.
Due aspetti della circolazione si possono mettere in evidenza: il primo è rappresentato dal fatto che nell'aumento influirono non poco le imposizioni degli occupanti: da parte tedesca con l'incontrollato impiego di banconote italiane ottenute con facilità dal Poligrafico per la ufficiale difesa dell'Italia ma finite anche nelle mani poco ufficiali della truppa; da parte americana, tanto più, con la profusione delle am-lire la cui ampia disponibilità faceva apparire ricco e spendaccione qualunque soldato alleato che avesse occasione di familiarizzare con la popolazione. Il secondo aspetto attiene alla scala dei valori della nostra cartamoneta che non subì variazioni per tutto il periodo di guerra: infatti non furono introdotte banconote superiori alle 1.000 lire fin dopo la metà dell'anno 1945.
La preminenza della 1000 lire reggeva dai tempi anteriori all'unità italiana (si ricordi la colorita varietà di connotazioni del massimo biglietto nella produzione dei cessati istituti di emissione).
Nacquero nell'agosto del '45 i tagli da 5.000 e 10.000 lire la cui definizione di «titoli provvisori... equivalenti a biglietti di banca» e la forma molto simile a quella dei già noti vaglia cambiari della Banca d'Italia servì a smorzare un po' l'effetto psicologico della loro comparsa. Passeranno molti anni prima che si affaccino alla ribalta della circolazione tagli più alti. Questo fatto ci induce a considerare come, essendo avvenuta tardivamente e in maniera mollo blanda la scalata a tagli cartacei superiori, i biglietti esistenti poterono mantenere un loro ruolo negli scambi correnti, pur flettendosi la misura del loro potere d'acquisto. Allo scadimento di valore fece fronte soltanto l'aumento della quantità dei mezzi di pagamento che usiamo descrivere come prima fase della esplicitazione del processo inflativo.
Non dimentichiamo che i biglietti di basso taglio, da 1, 2, 5 e 10 lire, cioè biglietti di Stato, venivano ancora distribuiti nei primi anni Cinquanta e che le corrispondenti monete metalliche furono coniate fino agli anni Settanta (solo le monete espresse in centesimi perirono con la guerra), segno che ancora questi strumenti monetari compravano qualcosa, sicuramente non quanto prima della guerra ma ancora qualcosa. Le difficoltà dei commerci e in certi momenti la loro sospensione assoluta dipesero dalle contingenze belliche - ci riferiamo precisamente al trasformarsi progressivo di ogni regione del nostro Paese in zona di operazioni militari - e non da inadeguatezza della moneta.
Il ricorso diretto del cittadino al produttore agricolo detentore di risorse alimentari essenziali (indirizzo a senso unico) così come l'instaurazione di un mercato clandestino comunemente chiamato nero furono una necessità d'ordine pratico conseguente al venir meno dei consueti canali commerciali, ma non possono essere iscritti (come a volte vien fatto) nella tipologia del baratto che pur nella sua primitività racchiude un Sistema pluridirezionale di scambi ed esclude del tutto il principio della intermediazione monetaria.
In certi casi sarebbe appropriato parlare di ripiego su forme abbreviate di approvvigionamento normalmente regolato e solo in momenti critici trasformato in anticipata cessione di beni assistita da accordi fiduciari per regolamento pecuniario dilazionato.
Tutto ciò appartiene a quell' adattamento che si impone ovunque in momenti difficili per la sopravvivenza, risorsa varia di forme capace di trovare sentieri di uscita da stati di difficoltà senza cadere nell'impossibile, senza sfociare nel caos.
Potremmo concludere dicendo che l'inflazione subita dall'Italia per effetto della guerra, se fu di innegabile pesantezza e giustamente lamentata, non toccò limiti di gravità estremi come avvenne altrove; per appropriato confronto citiamo l'Ungheria, che quasi nello stesso periodo e per le stesse circostanze (la fine della guerra si può datare al 13 febbraio 1945, giorno della resa di Budapest) sopportò una caduta inflativa che distrusse completamente la moneta nazionale, il pengo. Quella caduta si compì attraverso passi clamorosi e riflessi spettacolari sulla carta-moneta.
Conclusioni
Sperando che questo articolo dedicato dedicato al tema dell'inflazione sia stato di vostro interesse, restiamo in attesa delle vostre opinioni.
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